MISTER CHOCOLAT: una storia di razzismo

Mister Chocolat è un film che parla di intolleranza e di razzismo, è la storia di un clown di inizio dello scorso secolo che aveva la pelle nera, e che grazie alle sue esibizioni in coppia con un altro clown bianco "Footit" riuscì a rivoluzionare il mondo del circo e dello show circense.
Una storia di razzismo perché nella società parigina, francese, e probabilmente europea, dell'epoca il "negro" era solo una attrazione da circo, una bestia esotica più simile a una scimmia che a una persona come noi.
Il successo di una persona che ha un tratto somatico diverso dal nostro non era tollerato e tollerabile per la società dell'epoca e anche chi gli sta intorno e gli vuole bene viene bollato come un essere inferiore, una persona che non è degna neanche di uno sguardo, che si può liberamente insultare in quanto si accompagna al "negro" l'essere inferiore. 
La domanda che mi pongo è ma la società di oggi, 100 anni dopo, come vive il successo di una persona di colore, ci stupisce ancora? La consideriamo una cosa anormale? Il successo di un nero e di un bianco è equivalente?
Il film ci fa capire molto bene che il successo viene tollerato e anzi apprezzato fin quando il diverso è una figura sottoposta al bianco, è una figura maltrattata dal bianco, insomma il nero va bene finché è un animale da circo, ma al di fuori è e resta un animale nella visione superficiale ed esteriore della società e come tale non può pretendere di elevarsi a un ruolo che non gli appartiene, anche se eccellente, come nel caso del protagonista e della sua rappresentazione dell'Otello di Shakespeare.
La società in 100 anni ha fatto evidentemente molti passi avanti, il colore della pelle non è più una discriminante forte a tal punto da impedire il successo, anzi, forse fa più notizia il talento (soprattutto a livello sportivo) che ha qualcosa di diverso, che ha una marcia in più; ma nella vita di tutti i giorni in Italia come in molti altri posti del mondo quel "negro", quel diverso, quello straniero subisce ancora il nostro latente razzismo, che forse tanto latente non è.
Lo si percepisce da alcuni fatti accaduti durante l'anno appena passato come ad esempio gli spari contro persone di colore da parte di un bianco in pieno centro abitato per la sola ragione che erano diversi, la morte passata sotto silenzio di lavoratori sfruttati per raccogliere pomodori con ritmi e orari di lavoro disumani pagati 3 euro l'ora o quella forse più eclatante: la censura di 3 vicecampionesse del mondo di pallavolo Italiane da parte di una nota marca di acqua, si vede che per i grafici il nero della pelle di queste ragazze stonava col colore della bottiglia…
Concludo raccontandovi un fatto accadutomi un paio di anni fa, quando di morti in mare se ne parlava ogni giorno (al giorno d'oggi semplicemente non si da il permesso di approdare a chi evita la morte a questi disperati), decisi di rendere omaggio a queste vittime del mare e della crudeltà di altri esseri umani, inserendo nella presentazione di una recita una foto che li ritraesse ormai deceduti. Una scelta coraggiosa forse, forse un po' matta o macabra però sentivo il bisogno di rendergli memoria e dargli un volto, dare un volto a queste persone che non erano mai arrivate sull'altra sponda, che quel viaggio infernale non erano riuscite a completarlo, e la cosa che più mi colpì fu che il loro viso al momento della morte era bianco come il mio.
Mi chiedo allora, perché se al momento della morte siamo tutti uguali non possiamo provare a esserlo anche durante la vita?



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