The Circle: una dittatura social
Anche
oggi voglio proporvi il mio personale commento e le riflessioni che sono
scaturite dalla visione del bellissimo film the Circle, capolavoro con Tom
Hanks e Emma Watson.
Il
mio sarà un commento basato su ciò che il film mi ha trasmesso piuttosto che la
solita riproposizione della trama con una minima parte di commento, quindi
parlerò poco del film in sé, ne parlerò quel poco che basta per far partire la mia
riflessione da qualche punto concreto, e per dare un’idea generale degli
argomenti trattati nel film; perciò vi invito comunque a leggere la trama o a vedere
direttamente il film per riuscire a comprendere meglio le mie riflessioni.
Inizio
quindi col darvi un quadro generale e molto sintetico degli argomenti trattati:
il film si basa sostanzialmente sull’intreccio tra la vita di una normalissima
ragazza di campagna e quello che viene presentato come il più grande social
network americano e probabilmente globale, almeno da quanto si intuisce dallo
svolgersi del film.
Ora
immaginatevi di essere in Mae, la protagonista, e trovarvi catapultata in una
realtà aziendale gigantesca, l’impegno messo nel proprio lavoro sarà massimo
proprio per dimostrare che si è una valida risorsa, in special modo nei primi
giorni, quindi sembra abbastanza normale che durante il weekend ci si conceda
una pausa e si torni dalla propria famiglia. La cosa strana in questo inizio
del film è che a inizio della settimana successiva si presentino due colleghi
preoccupati dal fatto che non ci si è fatti vedere agli eventi del weekend e
non si abbia aggiornato i profili social; la reazione spontanea di un qualsiasi
Italiano credo sarebbe:” che cazzo vuoi!!!??” urlato a pieni polmoni; ma siamo
in un film, perdipiù americano, quindi la reazione della protagonista è normale
e controllata: “scusate era un obbligo? Sarò licenziata per questo?”. Da questa
scena parte la mia prima considerazione: fossi al posto suo mi chiederei ma
perché mai devo fare una cosa così sciocca come aggiornare i miei social e
soprattutto come fanno queste due persone a conoscermi così bene, tanto da
conoscere informazioni personali quali la malattia da cui è affetto mio padre?!
Ma in fondo se sono dipendenti delle risorse umane la cosa ci può stare, anche
se normalmente il datore di lavoro si informa sulla persona e sulla sua vita
lavorativa precedente più che su quella personale, però in fondo è una azienda
molto grande ed essendo in America la cosa non dovrebbe inquietarmi più di
tanto. Invece molto più inquietanti sarebbero gli 8000 messaggi ricevuti in una
settimana sul social aziendale da centinaia, forse migliaia di persone che, pur
essendo colleghi di lavoro, non si ha alba di chi siano. Se quanto detto finora
può rientrare nel regime dello strano, ciò che io ritengo assolutamente assurdo
e inquietante, in questa prima parte del film, è stato uno scambio di battute
tra Mae (Emma Watson) e i due dipendenti di the Circle di cui ho parlato prima,
i quali fanno pesare alla nostra protagonista il fatto di non aver condiviso
col mondo sul social network le proprie passioni e di averle praticate da sola
nel weekend e alla frase di uno dei due:” anche a me piace fare kayak, se lo avessi
condiviso sui social avremmo potuto andarci insieme!” nuovamente la reazione di
un Italiano sarebbe stata violenta e scurrile, della serie:” ma chi ti conosce!
Farti i cazzi tuoi no eh?”, ma ripeto siamo a Hollywood e in un film serio
simili grettezze non ci possono essere.
Da
questa prima parte del film si iniziano a intravedere gli argomenti di cui
tutto il film tratta, una forte contrapposizione su ciò che è personale e ciò
che invece è bello condividere col resto del mondo tramite i social network. Iniziando
una analisi più generale mi rendo conto che questo film ci fa riflettere
riguardo a ciò che potrebbe prospettarci il futuro: un mondo in cui la nostra
vita sociale diventa totalmente veicolata attraverso l’uso di una macchina, di
un sito, di un social. Un mondo in cui per poter parlare di temi delicati e
personali col nostro migliore amico, con la morosa o semplicemente con una
persona che ha bisogno del nostro aiuto e del nostro supporto, senza essere
necessariamente visti e o ascoltati dal mondo intero, è necessario spegnere una
telecamera o, come nel caso estremo rappresentato nel film, è necessario
rinchiudersi in bagno con un limite temporale, fissato dal social network, essendo
l’unico posto in cui la nostra “trasparenza” social si disattiva, per te minuti.
In pratica la nostra vita privata viene ridotta a un tempo: 3 minuti, e a un
luogo: il bagno...
Il
mondo presentato nel film rappresenta l’estremizzazione di situazioni che in
parte stiamo già vivendo, è un mondo in cui in nome del progresso tecnologico,
scientifico e della sicurezza, la privacy scompare completamente. La
definizione che darei io di privacy è: la possibilità di avere il controllo
sulla propria vita personale e avere il potere di poterla condividere, in tutto
o in parte, con chi si vuole.
Quello
rappresentato nel film è un mondo in cui la libertà di espressione appartiene a
tutti, ma è una libertà fittizia che viene sempre veicolata attraverso il
pensiero collettivo, in cui se il pensiero di una persona è opposto a quello
della massa semplicemente non esiste, scompare, o, se esiste, viene subito
emarginato, e allora l’unica soluzione che si presenta come alternativa all’emarginazione
totale dal mondo in cui si vive diventa quella dell’uniformità alla massa, un
cerchio che si chiude attraverso la menzogna e l’impossibilità di esprimere
realmente ciò che si pensa. La conseguenza di questa omologazione è quella di vivere
una vita che non ci appartiene, completamente uniformati agli altri e la cosa drammatica
è che più tutti esprimono lo stesso pensiero e meno quel pensiero può assumere
un valore e una rilevanza.
Questo
totale assorbimento della propria identità da parte del social network fa sì
che si crei una totale sovrapposizione tra la persona reale e quella digitale, in
questo modo una persona diventa reale solamente se appartiene al mondo dei o
del social.
Una
volta avvenuta questa sovrapposizione tra identità virtuale e identità reale
non è difficile immaginare la possibilità concreta dell’instaurazione di quella
che si può definire come una dittatura digitale dei social network; dittatura
che si realizza attraverso l’uso del social network a fini elettivi, grazie
alla scusa del minor costo per le istituzioni, in fondo, in questo fittizio mondo
che si è creato se sei sul social network esisti, e se esisti allora puoi
votare, ed è più facile e meno oneroso poter votare in modo elettronico
attraverso una piattaforma già predisposta allo scopo rispetto all’organizzazione
di sedi per il voto, sistemi di sicurezza che garantiscano la libertà del voto
stesso o anche più semplicemente la stampa di milioni di schede per votare. L’altra
faccia della medaglia però è la effettiva libertà del voto, basti pensare a
quanto facile sia, per un colosso delle comunicazioni globale riuscire a
pilotare le volontà di voto: basta impostare degli algoritmi affinché vengano
visualizzate solo quelle proposte del tal candidato che possono piacere al
singolo elettore e il gioco è fatto! Aggiungiamo a questa possibilità le
sconfinate applicazioni che potrebbero aprirsi grazie all’utilizzo
dell’intelligenza artificiale e allora si capisce che far eleggere il candidato
sostenuto dal social network diventa, quasi, troppo facile. Vorrei far notare
che questa possibilità non è poi così remota visti i recenti scandali “Russiagate”
e “Cambridge Analitica” che dimostrano quanto facile possa essere la manipolazione
degli utenti nel mondo digitale e la sottrazione dei loro dati personali.
Purtroppo
non è finita qui! Perché se dopo il potere politico si agguanta anche quello economico,
per esempio riuscendo a obbligare le persone a pagare qualunque prodotto attraverso
la app del proprio social network e obbligando a usare la moneta del social
network stesso, allora veramente l’annichilimento della persona e della società
è completo.
Il
completo annichilimento della volontà personale può realizzarsi talmente bene
da riuscire a creare sistemi, come si vede nel film, che permettano la
localizzazione di chiunque nel mondo nel giro di pochi minuti, partendo
semplicemente dal nome e da una foto. Il problema è come sempre l’utilizzo che
se ne può fare di strumenti simili, perché nel mondo ci sono persone che di
essere trovate non hanno alcuna voglia e non parlo solo di criminali ma anche e
soprattutto di persone comuni che spesso sono, o sono state vittime di persone
violente. Dal film si capisce molto bene come un simile programma possa essere
facilmente usato come strumento di morte o da cui facilmente essa può scaturire.
In “the Circle” muore uno dei “buoni”, ma trasportiamo per un attimo la cosa
nel mondo reale, specie in quello americano, che trasuda armi da tutti i pori,
quanto facilmente pensate che in questa caccia all’uomo derivi, prima o dopo,
un inevitabile conflitto a fuoco? Le conseguenze sono facili da prevedere: morte
e violenza ovunque…
Ecco
quindi che questo film, per quanto bello, possa senza ombra di dubbio essere
definito estremo e, spero, irrealistico in alcuni suoi aspetti. Una cosa però è
certa è un film che ci dà l’opportunità di aprire un minimo gli occhi su ciò
che potrebbe diventare e in parte già è la nostra vita. Pensiamo per un attimo
al solo Facebook: ormai più di 1 miliardo di persone nel mondo lo usa e in un
modo o nell’altro altrettante in qualche modo lo conoscono, vi sono stati
citati o vi sono comparsi; perfino i neonati sono su questo social grazie alle
innumerevoli foto che le loro madri pubblicano sui propri profili!
Io
credo che al giorno d’oggi potremmo considerarci alla prima di tre fasi che ci
portano dritti dritti alla situazione descritta nel film, anche se penso che lo
sviluppo non sarà così veloce e radicale come quello presentato nel film.
Questa prima fase la identifico in quella che si potrebbe definire: “fase di schedatura”,
ovvero quella fase di raccolta dei nostri dati personali attraverso social
network, social meedia, o ancor più semplicemente attraverso quella semplice, e
in apparenza banale, azione di accettare termini e condizioni della privacy,
che spesso neanche leggiamo essendo consapevoli del fatto che in caso di
mancata accettazione non potremmo utilizzare la app o il programma che ci
serve. La domanda che dovremmo farci allora dovrebbe essere: come possiamo
essere sicuri che dalla fase 1 non si passi a una fase 2? Fase 2 che potrebbe realizzarsi
nell’utilizzo e nella strumentalizzazione di quei dati raccolti allo scopo di
fare pressioni politiche e socio-economiche, a persone, governi o enti
sovranazionali. Ma soprattutto come possiamo evitare che si arrivi alla terza
fase, quella della dittatura social di cui ho parlato prima? Io ovviamente risposte
illuminanti non ne ho, e anzi sono il primo a fare un mea culpa riguardo un
utilizzo forse esagerato e poco attento di programmi e social network, che mi e
ci semplificano la vita al modico prezzo della perdita di piccole libertà
(quali la privacy, per come è vista al giorno d’oggi); rinunce che in fondo non
ci pesano, e a cui, forse, badiamo poco. Di una cosa però sono certo: le
istituzioni politiche ed economiche in Italia e nel mondo devono e dovranno
sempre più assicurarsi riguardo all’utilizzo che queste enormi compagnie
informatiche fanno dei dati personali degli utenti. Penso che soprattutto nel
mondo politico dovrebbe esserci un maggiore controllo di ciò che viene
pubblicato sui social meedia, perché finché un ministro e vicepremier carica
foto in cui mangia pane e nutella, o fa propaganda davanti a un piatto di
spaghetti, a parte perderci in dignità e guadagnare qualche acclamazione
popolare e qualche commento ironico, non succede nulla; ma nel momento in cui
vengono pubblicate foto, il cui unico scopo è fare propaganda elettorale, che
hanno come sfondo atti inerenti al proprio lavoro istituzionale, magari pure
top secret o riservati, beh allora a rimetterci può essere anche la sicurezza
dei cittadini che si rappresenta! Perché sono sicuro che qualcuno che vaglia e
analizza quei documenti sullo sfondo, sparsi su un tavolino d’aereo,
sicuramente c’è, e se c’è temo che prima o poi ci presenterà il conto.
Questo
film ci apre una finestra su come il mondo in cui viviamo potrebbe diventare se
continueremo imperterriti a buttare nella tazza del gabinetto la nostra privacy
in nome di un presunto progresso e di una maggiore percezione di sicurezza, che,
come quella spasmodica ricerca di like sui social network, è tutto tranne che
reale.
Andrea
Contento




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